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La luce e l’ombra

Ogni anno arriva il Natale, ma quest’anno qualcosa si è rotto, qualcosa che non si vede ma si sente, una vibrazione sottile che attraversa l’aria e penetra dentro. Non è più quella festa di luci e frenesia, di corse affannate verso regali che sembrano riempire vuoti più grandi. Il cuore non batte più a quel ritmo, non si lascia più ingannare dal bagliore superficiale delle vetrine, dal rumore delle folle che sembrano danzare senza respiro. Il Natale quest’anno non è più una scena da ripetere, è un silenzio che si spalanca dentro una casa che perde le sue mura e si fonde con l’ombra del tempo. Il freddo fuori è tagliente, un paesaggio lontano, quasi alieno rispetto alla confusione che ho sempre conosciuto. È un inverno che entra nelle ossa e nella mente, che allontana il calore dei giorni passati e lascia spazio a un altro tipo di luce, più fragile, più vera. Un anno senza Natale. Un Natale che non si è festeggiato, non per scelta, ma per un’esigenza di vuoto, di spazio per sentire ciò che resta quando tutto sembra aver perso senso. La solitudine, allora, si fa compagna senza chiedere permesso, prende la stanza, il respiro, diventa eco di un dialogo interno che non si spegne mai. La casa, vuota e silenziosa, parla senza parole, racconta di assenze e di mancanze che pesano più di ogni addobbo. Ma oggi l’albero è lì, alto e fiero, le luci si accendono, scintillano e si riflettono come piccoli specchi di una verità nascosta. La scena sembra perfetta, ma dentro c’è una distanza che nessuna decorazione può colmare. C’è un senso che si è spostato, un significato che ho preso e ho rimesso in gioco, un Natale che non cerca più il clamore, ma la quiete, la misura minima di un attimo che valga davvero.

La luce dell’albero smette di essere un semplice riflesso artificiale e diventa uno specchio di me stessa, una fiamma che osserva e si lascia osservare. Fuori, la strada è un fiume di gente che corre e si perde, ma qui dentro c’è un angolo di calma, il crepitio del fuoco nel caminetto, il profumo forte e dolce del rosmarino che arrostisce con il pollo, l’aroma delle patate che si gonfiano nel forno, la fragranza delle arance che racchiudono in sé la dolcezza amara della stagione. Il vento scuote le persiane, tamburella sulla casa con il ritmo incalzante di chi richiama alla solitudine, ma dentro i miei pensieri non c’è gelo, c’è una tregua, un calore fatto di ricordi e di attese. Ogni piatto che preparo è un gesto di resistenza, non solo per nutrire il corpo ma per accendere l’anima. La cena di stasera non è un dovere ma un rito sacro, un’offerta che faccio a chi resta, a chi ha lasciato un segno, a chi non si vede più ma vive in ogni sapore e in ogni gesto. La casa, intrisa di tradizione, diventa rifugio e confessionale, un luogo dove il tempo si dissolve e si ricompone in piccoli frammenti di cura e attenzione. Non importa se fuori il Natale è diventato una macchina di consumi e illusioni. Qui, oggi, si celebra l’incontro con me stessa, con chi sono stata e con chi sono diventata, un incontro che non chiede regali ma presenza, un senso che non ha bisogno di essere spiegato.

Intorno all’albero non ci sono solo pacchetti da scartare, ma silenzi che si fanno parola, sguardi che raccontano più di mille doni, mani che cercano contatto e trovano conforto. Ogni sorriso, ogni gesto, si carica di una verità che a volte è difficile sostenere, ma che non si può evitare. Dentro quel cerchio di luce ci sono contraddizioni, speranze mai del tutto realizzate, fallimenti che restano appesi al filo sottile del tempo, eppure anche nelle ombre più fitte brilla una scintilla che tiene accesa la vita. Il Natale è speranza o è solo un gesto di fuga, un modo per non guardare ciò che pesa? Il dubbio resta, come una domanda senza risposta che si incastra nel cuore, ma non importa trovare la verità definitiva. Basta sentire il battito di quel dubbio, il respiro di ciò che è imperfetto e incompiuto. Le luci continuano a brillare, oscillano tra la memoria e il presente, tra ciò che si vorrebbe e ciò che si è. La festa è fatta di momenti che si rincorrono senza mai fermarsi, di presenze che non sempre comprendiamo fino in fondo. Il Natale è un cammino dentro se stessi, un viaggio che non termina, un passo dopo l’altro, un respiro che si apre e non si chiude mai. Non serve spiegare, non serve chiudere il cerchio. Basta restare, stare dentro il senso di quel vuoto che ci accompagna, dentro quella mancanza che ci fa vivi, che ci spinge a cercare ancora, a non accontentarci di finzioni.

Non c’è una fine a questa scrittura, non c’è un punto su cui fermare il pensiero. C’è solo un respiro lungo che sfuma nell’aria, una porta che si socchiude senza mai chiudersi, un invito a restare sospesi, a vivere la domanda senza affannarsi per la risposta. Questa è la verità che porto dentro, il Natale che scelgo ogni anno, un Natale che è presenza, resistenza, memoria e attesa. Un Natale che non si può definire, che non si può incasellare, che è tutto e niente, che si dissolve e si ricompone, un Natale che è vita.

Remember me,
Eclipse

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